La Corte di Cassazione, in un procedimento legato alla richiesta di un operatore ecologico di condannare il proprio datore di lavoro al risarcimento dei danni da inadempimento dell’obbligo di lavaggio e manutenzione dei dispositivi di protezione individuale, chiarisce cosa debba intendersi per DPI. Il tema riguarda in particolare il fatto se gli indumenti indossati dal lavoratore dovessero essere qualificati come DPI o meno. Partendo dalla definizione di DPI presente nella normativa di riferimento, il principio enunciato dalla Corte è che la nozione legale di DPI non deve essere intesa come limitata alle attrezzature appositamente create e commercializzate per la protezione di specifici rischi alla salute in base a caratteristiche tecniche certificate, ma, in conformità alla giurisprudenza di legittimità, va riferita a qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva, sia pure ridotta o limitata, rispetto a qualsiasi rischio per la salute e sicurezza del lavoratore, in conformità con l’art. 2087 cod. civ., norma di chiusura del sistema di prevenzione degli infortuni e malattie professionali, suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute sia dei principio di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro. Nella medesima ottica il datore di lavoro è tenuto a fornire i suddetti indumenti ai dipendenti e a garantirne l’idoneità a prevenire l’insorgenza e il diffondersi di infezione provvedendo al relativo lavaggio, che è indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza e che, pertanto, rientra tra le misure necessarie per la sicurezza e salute dei lavoratori che il datore di lavoro è tenuto ad adottare.
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